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Sarveux desiderava poter prolungare quel raro momento, nell'intimità delle pareti domestiche. Danielle era stupenda nell'abito di chiffon di seta verde stampata, scollato sul dorso, con i capelli divisi al centro, spazzolati all'indietro e trattenuti su un lato da un pettinino dorato, e con un girocollo d'oro a spirale. La luce delle candele le si rifletteva negli occhi tutte le volte che guardava il marito, seduto di fronte a lei.
Dopo che la cameriera ebbe sparecchiato, Sarveux si sporse in avanti e le baciò la mano.
«È proprio necessario che tu parta?» le chiese.
«Sì, purtroppo», rispose lei, versandogli un brandy. «I miei nuovi abiti autunnali sono pronti, da Vivonnes, e ho già preso appuntamento; mi aspettano domattina per l'ultima prova.»
«Perché vai sempre a Quebec? Non potresti trovarti una sartoria a Ottawa?»
Danielle gli accarezzò i capelli, con una risatina.
«Perché preferisco i creatori di moda di Quebec ai sarti da donna privi di fantasia di Ottawa.»
«Non riusciamo mai ad avere un momento tutto per noi.»
«Tu non fai altro che girare da un capo all'altro del Paese.»
«Non posso negarlo. Però tutte le volte che riesco a trovare il tempo per stare con te, tu hai qualche immancabile impegno.»
«Sono la moglie del primo ministro», replicò Danielle, sorridendo. «Non posso chiudere gli occhi e voltare le spalle ai doveri che mi vengono dalla tua carica.»
«Non andartene», le disse con voce atona.
«Ma se sei proprio tu a volermi elegante per i nostri impegni sociali», ribatté, facendo il broncio.
«Dove alloggerai?»
«Dove alloggio sempre quando passo la nottata a Quebec... nella casa di città di Nancy Soult.»
«Preferirei che tu rientrassi qui, in serata.»
«Non mi succederà niente, Charles.» Si chinò e gli scoccò un tiepido bacio sulla guancia. «Sarò di ritorno domani pomeriggio. E allora parleremo.»
«Io ti amo, Danielle», disse lui, calmo. «Il mio più grande desiderio è poter invecchiare con te al mio fianco. Voglio che tu lo sappia.»
L'unica risposta di Danielle fu il rumore della porta che si richiudeva.
La casa di città era veramente intestata a Nancy Soult, ma la stessa Nancy lo ignorava. Fortunata scrittrice di romanzi e nativa del Canada, viveva in Irlanda per sottrarsi alle tasse da capogiro decretate a causa dell'inflazione. Di rado andava a trovare i familiari e gli amici di Vancouver, ed erano più di vent'anni che non metteva piede a Quebec.
La prassi abituale non si modificò neppure quella volta. Non appena la berlina presidenziale ebbe condotto Danielle fino alla presunta abitazione di Nancy Soult e un poliziotto a cavallo si fu messo di guardia davanti all'entrata principale, lei passò di stanza in stanza sbattendo le porte, facendo scorrere l'acqua nel bagno e accendendo la radio sintonizzata su una stazione che trasmetteva musica leggera. Quando le sembrò che la sua presenza fosse stata dimostrata a sufficienza, entrò in un armadio, scostò gli abiti appesi e aprì la porta nascosta sul fondo, passaggio per il pianerottolo, raramente usato, di una casa adiacente. Scese di corsa le scale e si trovò nel box interno, che dava su un vicolo di scarsissimo passaggio. Lì, Henri Villon, puntuale, l'attendeva nella sua Mercedes-Benz. Le cinse le spalle abbracciandola non appena l'amante gli si sedette accanto. La donna, come sempre le succedeva, si rilassò, ma la dimostrazione d'affetto, da parte di lui, fu breve e lo vide riprendere immediatamente l'espressione dell'uomo occupato da mille pensieri.
«Spero che quello che hai da dirmi sia importante», le disse. «Mi diventa sempre più difficile allontanarmi per questi nostri incontri.»
«È mai possibile che chi mi parla sia lo stesso uomo che aveva l'audacia di fare l'amore con me nella residenza del primo ministro?»
«A quel tempo, non stavo per essere eletto presidente del Quebec.»
Danielle si ritirò nell'angolo del sedile e sospirò. Qualcosa dentro di lei le diceva che l'eccitamento e la passione dei loro incontri clandestini si stavano spegnendo. Non che per questo vedesse andare in frantumi le sue illusioni. D'illusioni non se n'era mai fatte. Non aveva mai tentato d'ingannarsi inducendosi a credere che la loro fosse una relazione senza uguali, destinata a durare in eterno. Tutto ciò che le restava da fare era d'ingoiare l'offesa e coltivare un'amicizia almeno cordiale, anche se non più intima.
«Vuoi che andiamo da qualche parte?» chiese Villon, strappandola dalla sua fantasticheria.
«No, andiamo un po' in giro, così.»
Villon azionò il telecomando della saracinesca del box e uscì in retromarcia sulla strada. Il traffico era scorrevole lungo il percorso sino alla riva del fiume, dove una breve fila di macchine, alla quale si accodarono, era in attesa d'imbarcarsi sul traghetto che li avrebbe portati sull'altra riva. Non scambiarono più parola finché Villon non ebbe portato la Mercedes su per la rampa d'imbarco per parcheggiarla a prua, da dove si godeva la vista delle luci che si specchiavano tremolanti sulla superficie del San Lorenzo.
Soltanto allora Danielle aprì bocca. «Siamo nel pieno di una crisi», disse.
«Ti riferisci a noi due o al Quebec?»
«A tutti e tre.»
«Mi sembri molto impensierita.»
«E ho motivo di esserlo.» Tacque un momento, poi riprese: «Charles sta per dimettersi da primo ministro del Canada e concorrere alle elezioni presidenziali del Quebec».
Villon si girò di scatto e la guardò fisso. «Ripeti ciò che hai detto.»
«Sì, mio marito intende annunciare che si presenterà candidato per la presidenza del Quebec.»
Villon scrollò la testa, esasperato. «Non posso credere che arrivi a tanto. Sarebbe la decisione più stupida che mi sia mai toccato di sentire. Perché? È un gesto da incosciente, del tutto campato in aria.»
«Penso che l'idea gli sia stata dettata dalla collera.»
«Mi odia a questo punto?»
Danielle abbassò gli occhi. «Temo che sospetti qualcosa su di noi. Forse ne ha perfino la certezza. Può darsi che abbia deciso di agire così per vendetta.»
«No, non Charles. Non è uomo da abbandonarsi a simili reazioni puerili.»
«Sono sempre stata attenta. Ritengo che mi abbia fatta pedinare. Altrimenti come avrebbe potuto scoprirlo?»
Villon arrovesciò la testa e scoppiò in una risata. «Perché sono stato io, praticamente, a dirglielo.»
«Non è possibile!» ansimò lei.
«Al diavolo quel rospiciattolo pedante! Per quel che me ne importa, si crogioli pure nell'autocommiserazione per la sua dignità offesa. Non c'è modo che un bastardo sospettoso come lui vinca le elezioni. Lo stimabile Charles Sarveux ha pochi amici nel partito del Quebec indipendente. La corrente più forte, quella che conta davvero, è tutta dalla mia parte.»
Il pontile della nave-traghetto distava solo un centinaio di metri quando un uomo uscì dalla quinta vettura dietro la berlina blu di Villon e si mescolò ai passeggeri che ritornavano al ponte di parcheggio dopo essersi goduti il panorama, durante la traversata, affacciati ai parapetti. Dal lunotto della Mercedes poteva vedere due profili e il mormorio della conversazione gli giungeva smorzato attraverso i finestrini abbassati. Muovendosi con indifferenza, avanzò lungo il fianco delle macchine, spalancò la portiera posteriore di quella che costituiva il suo obiettivo, come se ne fosse stato il proprietario, e scivolò all'interno. «Madame Sarveux, monsieur Villon, buonasera.»
Allo stupore iniziale nel vedere l'intruso, nei due succedettero rapidamente un'espressione d'incredulità e quindi una di terrore, non appena videro la mano simile a una grossa pietra che agitava orizzontalmente una rivoltella, puntandola ora contro la nuca dell'una ora contro la nuca dell'altro. Villon aveva un buon motivo di mostrarsi sconcertato. Gli pareva di guardarsi allo specchio. L'uomo sul sedile posteriore era il suo doppio, un gemello, un clone. Ne distingueva ogni lineamento della faccia illuminato dalle luci del pontile di sbarco che penetravano dal parabrezza.
Danielle si lasciò sfuggire un gemito soffocato che avrebbe toccato il diapason in un urlo isterico se la canna della pistola non l'avesse colpita con forza sulla guancia. Il sangue zampillò dalla ferita e lei per un momento non riuscì a respirare, tanto il dolore era bruciante.
«Non sono il tipo che si fa scrupoli di colpire una donna, perciò la prego, per il suo bene, di non tentare un'insensata resistenza.»
La voce era un'imitazione esatta di quella di Villon.
«Chi è, lei?» chiese Villon al sosia. «Che vuole da noi?»
«Mi sento lusingato che l'originale non riesca a distinguere la copia.» La voce assunse un timbro e un'inflessione diversi e Villon la riconobbe, attanagliato da un orrore subitaneo. «Sono Foss Gly e ho intenzione di uccidervi.»